Aspetti operativi della valutazione del microclima nei luoghi di lavoro indoor (dBA, 2015)

28 maggio 2015

Abstract

Gli accertamenti tecnici relativi al comfort ed allo stress termico si basano su un gruppo di norme di origine ISO (in un caso CEN) che definiscono, caso per caso, gli indici a mezzo del quale quantificare l’entità del disagio/rischio.
Le stesse sono però carenti di indicazioni circa la metodologia di valutazione, soprattutto per quel che concerne le misurazioni.
Scelte come le posizioni di misura, le durate delle misurazioni e i momenti (ora del giorno, giorno dell’anno, …) sono spesso lasciate al valutatore e questo incide sull’attendibilità dei risultati e sulla ripetibilità delle misure, rendendo difficile operare dei confronti tra misure diverse o valorizzarne i risultati per la ricerca di misure di riduzione del rischio o miglioramento delle condizioni di comfort.
Con questo lavoro si intende far emergere le criticità più rilevanti ed avanzare delle proposte per gestirle, con specifico riferimento alle valutazioni di comfort termico. Innanzitutto è fornita una chiave di lettura di quelle che sono le prescrizioni di legge (in questo caso considerando sia gli aspetti di comfort che di stress termico). Sempre con riferimento alle prescrizioni di legge è esaminato il sistema di limiti previsti per le valutazioni di comfort termico, considerando anche la suddivisione in classi recepita a livello nazionale nel 2006. Si passa quindi ad esaminare gli aspetti metodologici inerenti gli accertamenti tecnici, iniziando dai criteri di scelta delle posizioni dei punti di campionamento, per passare all’organizzazione temporale dei rilievi. È fornito quindi uno spunto per correlare l’esito dei rilievi di microclima indoor con le condizioni meteorologiche outdoor ed è infine fornita una via per l’interpretazione e la valorizzazione degli indici e dei principali parametri fisici.
È anche dedicato uno specifico momento ad una discussione sul metodo di determinazione dell’indice sul disagio da correnti d’aria (DR).

Leggi l’articolo integrale

ASPETTI OPERATIVI DELLA MISURAZIONE DEL MICROCLIMA: DOVE, QUANDO E QUANTO MONITORARE. INTERPRETAZIONE E VALORIZZAZIONE DEI SINGOLI PARAMETRI

Alessandro Merlino, Gianluca Gambino, Gabriele Quadrio

CeSNIR, Villasanta (MB)

Indice

1 – INTRODUZIONE

Gli accertamenti tecnici relativi al comfort ed allo stress termico si basano su un gruppo di norme di origine ISO (in un caso CEN) che definiscono, caso per caso, gli indici a mezzo del quale quantificare l’entità del disagio/rischio.
Le stesse sono però carenti di indicazioni circa la metodologia di valutazione, soprattutto per quel che concerne le misurazioni.
Scelte come le posizioni di misura, le durate delle misurazioni e i momenti (ora del giorno, giorno dell’anno, …) sono spesso lasciate al valutatore e questo incide sull’attendibilità dei risultati e sulla ripetibilità delle misure, rendendo difficile operare dei confronti tra misure diverse o valorizzarne i risultati per la ricerca di misure di riduzione del rischio o miglioramento delle condizioni di comfort.
Con questo lavoro si intende far emergere le criticità più rilevanti ed avanzare delle proposte per gestirle, con specifico riferimento alle valutazioni di comfort termico. Innanzitutto è fornita una chiave di lettura di quelle che sono le prescrizioni di legge (in questo caso considerando sia gli aspetti di comfort che di stress termico). Sempre con riferimento alle prescrizioni di legge è esaminato il sistema di limiti previsti per le valutazioni di comfort termico, considerando anche la suddivisione in classi recepita a livello nazionale nel 2006. Si passa quindi ad esaminare gli aspetti metodologici inerenti gli accertamenti tecnici, iniziando dai criteri di scelta delle posizioni dei punti di campionamento, per passare all’organizzazione temporale dei rilievi. È fornito quindi uno spunto per correlare l’esito dei rilievi di microclima indoor con le condizioni meteorologiche outdoor ed è infine fornita una via per l’interpretazione e la valorizzazione degli indici e dei principali parametri fisici.
È anche dedicato uno specifico momento ad una discussione sul metodo di determinazione dell’indice sul disagio da correnti d’aria (DR).

2 – PRESCRIZIONI DI LEGGE

Il primo e fondamentale aspetto da chiarire circa le valutazioni di microclima è quali siano le prescrizioni di legge da rispettare e quali i vincoli imposti dal legislatore.

Si propone di seguito una sintesi operativa degli aspetti legislativi1.

2.1 – RISCHI E DISAGI

Nel D.Lgs 81/08 il microclima compare in più titoli: al Titolo II (“Luoghi di lavoro”), al Titolo VII (“Attrezzature munite di videoterminale”) e al Titolo VIII (“Agenti fisici”).

Nel primo caso il legislatore prescrive che il microclima soddisfi specifici requisiti negli ambienti di lavoro chiusi. I riferimenti pertinenti sono costituiti da:

  • 63, Requisiti di salute e di sicurezza (Titolo II)
  • il corrispondente Allegato IV, Requisiti dei luoghi di lavoro, al punto 1.9, Microclima.

Nel secondo caso sono oggetto di normazione i “posti di lavoro al videoterminale” (uffici per lo più, ma anche sportelli, reception, casse, …). In questo caso i riferimenti di legge sono rappresentati da:

  • 174,Obblighi del datore di lavoro (Titolo VII);
  • il corrispondente Allegato XXXIV, Videoterminali, al punto 2, Ambiente, lettera e), parametri microclimatici.

Nel terzo caso, quando il legislatore inserisce il microclima tra gli agenti fisici di cui al Titolo VIII, intende agire nei confronti dei rischi da stress termico, regolamentando gli ambienti in cui, a causa di severe condizioni microclimatiche, può determinarsi un serio pregiudizio per la salute dei lavoratori. I riferimenti di legge applicabili sono:

  • 180 – 186 (Titolo VIII “Agenti fisici”, Capo I “Disposizioni generali”).

Rispetto a questo agente nel dispositivo di legge si segue pertanto un doppio regime che concerne, nel caso dei titoli II e VII l’eliminazione/riduzione dei disagi da discomfort termico e nel caso del Titolo VIII l’eliminazione/riduzione dei rischi da stress termico. Il fatto che nel primo caso si tratti di disagi e nel secondo di rischi non si traduce in obblighi con diversa priorità per il datore di lavoro; sono infatti prescrizioni di pari forza, ma indirizzate ad ambienti diversi2.
È tuttavia vero che se la riduzione dei rischi è un obbligo fondamentale e non derogabile, la riduzione dei disagi è un obbligo subordinato alla sua effettiva attuabilità: perché al datore di lavoro possa essere imposta l’eliminazione/riduzione dei disagi, devono infatti esistere le condizioni pratiche perché questo obiettivo sia raggiungibile, ovvero che non esistano vincoli produttivi od ambientali che impediscano di modificare le condizioni termiche dell’ambiente di lavoro ad esclusivo beneficio dei lavoratori e di qui il comune riferimento agli ambienti termici vincolati/non vincolati3.

Gli obiettivi dell’azione di prevenzione sono pertanto distinti in base al tipo di ambiente termico e sono:

  • l’eliminazione/riduzione dei rischi per la salute nel caso degli ambienti vincolati;
  • l’eliminazione/riduzione dei disagi da discomfort termico nel caso degli ambienti non vincolati (dove i rischi per la salute riconducibili all’ambiente termico si possono dare per assenti).

Dal momento che per gli ambienti non vincolati l’obiettivo di prevenzione riguarda il raggiungimento del comfort termico, l’accertamento è focalizzato sull’ambiente stesso. La valutazione è indirizzata a verificare che siano rispettati i requisiti di cui all’articolo 63 e corrispondente allegato IV e, nel caso di postazioni di lavoro al videoterminale (uffici ad esempio), anche quelli di cui all’articolo 174 e corrispondente allegato XXXIV.
Nessuna verifica di stress è da compiersi perché è ragionevole assumere che tale rischio sia assente in questi ambienti.
Se l’ambiente non vincolato non rispetta i requisiti di comfort è necessario intraprendere le opportune misure di riduzione intervenendo sui parametri termoigrometrici ambientali. In alcuni casi particolari si può ricorrere all’opzione offerta dal legislatore al punto 1.9.2.5 dell’allegato IV (pertinente per tutti gli ambienti di lavoro chiusi) che recita: “quando non è conveniente modificare la temperatura di tutto l’ambiente, si deve provvedere alla difesa dei lavoratori contro le temperature troppo alte o troppo basse mediante misure tecniche localizzate o mezzi personali di protezione”. Tali casi particolari sono rappresentati, ad esempio, da ambienti di grandi volumi gestiti da poco personale (quali i magazzini) per i quali il trattamento termico dell’aria (raffrescamento e/o riscaldamento) può risultare anti-economico nonché anti-ecologico.
Nel caso di ambienti vincolati l’obiettivo di prevenzione è l’eliminazione dei rischi da stress termico (o comunque la loro riduzione al minimo) e l’accertamento è focalizzato sui compiti lavorativi dei quali è verificato se comportino condizioni termicamente stressanti per l’organismo. La valutazione è svolta secondo i criteri generali concernenti tutti gli agenti fisici di cui al D.Lgs 81/08, Titolo VIII, Capo I.
Rimangono inoltre valide le prescrizioni di cui all’allegato IV relativamente all’ambiente se si tratta di ambiente indoor.
Se i compiti lavorativi che comprendono fasi in ambienti termici severi risultano stressanti per l’organismo, è necessario intraprendere le opportune misure di prevenzione e protezione che possono prevedere interventi sull’abbigliamento degli addetti, sui tempi di esposizione e sullo sforzo fisico degli stessi.

2.2 – LIMITI DI COMFORT TERMICO

Il D.Lgs 81/08 non fornisce limiti in senso stretto ai fini della determinazione dei livelli di disagio termico negli ambienti termici non vincolati o dei livelli di rischio da stress termico negli ambienti termici vincolati. In mancanza di valori limite definiti dalla legislazione, è prassi fare riferimento a norme tecniche e/o linee guida emesse da enti di riconosciuta competenza; esattamente potranno essere assunti quali riferimenti validi le fonti di cui il D.Lgs 81/08 fornisce definizione nell’articolo 2, ovvero:

‒       norme tecniche,
‒       buone prassi,
‒       linee guida.

A livello internazionale il riferimento assunto per le verifiche dei requisiti termici degli ambienti non vincolati è la norma tecnica UNI EN ISO 7730:2006 “Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione analitica e interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei criteri di benessere locale”.
La valutazione è compiuta mediante il calcolo di sei indici adimensionali, due espressione del comfort termico globale (PMV e PPD) e quattro espressione del discomfort termico locale (DR e tre diversi PD), dove con comfort globale si intende quello percepito dalla persona nella sua interezza e con discomfort locale si intende quello percepito in parti localizzate del corpo.
I disagi termici di tipo locale sono avvertiti perlopiù da lavoratori che si occupano di attività leggere e sedentarie e in cui la sensazione termica globale è molto vicina alla neutralità. Il valore dell’indice che identifica ogni disagio locale rappresenta la percentuale di persone infastidite.
Come detto più sopra le valutazioni di comfort termico sono riferite all’ambiente termico4 e i limiti sono forniti per tre possibili categorie di questo: dalla A alla C, dove la A è quella per la quale sono richiesti i requisiti più elevati.

Tabella 1: Limiti per l’esposizione in ambienti non vincolati tramite gli indici di comfort globale (PMV e PPD) e di discomfort locale (DR e PD)

Storicamente, l’intervallo di accettabilità era stato definito in modo univoco richiedendo che il voto medio previsto (PMV) fosse compreso nell’intervallo -0.5 ÷ +0.5. Con la revisione 2006 della norma tecnica UNI EN ISO 7730 gli ambienti termici sono stati invece divisi in tre categorie, ognuna delle quali con propri valori limite per gli indici di comfort globale (PMV e PPD) e gli indici di discomfort locale.
Il limite di riferimento con il quale confrontare i risultati di un accertamento sul comfort termico, deve pertanto essere individuato tra i tre a mezzo di una valutazione preliminare indirizzata alla determinazione della categoria cui appartiene ogni singola postazione di lavoro presa in esame nell’accertamento. La norma non indica tuttavia come compiere questa valutazione per la quale si rimanda al metodo proposto da ISPESL nel 20095 e richiamato brevemente qui sotto.

La categoria è individuata a partire dal valore assunto da un indice detto fattore di comfort (FC) che può assumere valori compresi fra 0 e 10000 e la classificazione nelle tre categorie avviene secondo il seguente schema:

Categoria Fattore di comfort
A 3 000 < FC ≤ 10 000
B 500 < FC ≤ 3 000
C 0 < FC ≤ 500

Il fattore di comfort è determinato con un algoritmo che tiene conto dei seguenti tre diversi aspetti:

  • la sensibilità termica dell’individuo, quantificata mediante il descrittore FS;
  • l’accuratezza del compito lavorativo da eseguire, quantificata mediante il descrittore FA;
  • la praticabilità di soluzioni di manipolazione termica (condizionamento o riscaldamento) dell’ambiente, quantificata mediante il descrittore FT.

Ciascuna delle tre quantità FS, FA ed FT varia in una scala fra 0 e 10 e il punteggio complessivamente associato ad una data postazione di lavoro è calcolato mediante il prodotto pesato:
dove i pesi PS, PA e PT assumono i seguenti valori
PS = 5/3;
PA = 4/3;
PT = 1.

3 – PIANIFICAZIONE DI UN ACCERTAMENTO TECNICO DI COMFORT TERMICO

Alla base di un accertamento tecnico che preveda l’esecuzione di misurazioni ci sono i criteri con i quali sono determinati il numero e le posizioni dei punti di misura, i momenti dell’attività lavorativa durante i quali condurre le misurazioni e la loro durata. Tali criteri, in sostanza, devono dare risposta alle domande: quante misure, dove, quando e per quanto tempo.
Non entreremo invece nel merito di quanto è consolidato circa la risoluzione spaziale e temporale delle grandezze fisiche oggetto di ogni singola misura; per questo le norme tecniche forniscono l’indicazione precisa delle altezze da terra a cui condurre le misurazioni e il tempo da dedicare ad ogni rilievo, tenuto conto del tempo di adattamento delle sonde più lente alle condizioni termiche in ogni nuovo punto di misura.

3.1 – NUMERO E POSIZIONE DEI PUNTI DI MISURA

La valutazione microclima, quando è svolta nel più ampio quadro della valutazione generale dei rischi, riguarda l’edificio e le sue prestazioni e si riferisce ad un utente medio dello stesso.

Figura 1: viste aeree di diverse tipologie di edificio: in alto palazzi uffici dei primi anni ’70, collocati uno di fianco all’altro, di estensione simile e pianta differente (quadrata l’uno e a croce latina l’altro); in basso a sinistra un palazzo storico di una metropoli italiana, oggi sede di uffici; in basso a destra un palazzo uffici a facciata vetrata. In tutte le foto la direzione sud-nord è dal basso verso l’alto.

Nel pianificare la campagna di rilievi si può essere tentati dall’individuare una griglia di punti con una qualche regolarità su più piani dell’edificio, se non su tutti. Questo approccio conduce generalmente ad un sovradimensionamento dell’azione di monitoraggio che, dovendo essere ponderata con i budget a disposizione, viene normalmente ridimensionata nei tempi di esecuzione con un impatto sull’affidabilità che può essere critico. Si deve infatti tenere conto che il tempo di adattamento di una sonda globotermometrica da 15 cm di diametro è di non meno di 20 minuti e, considerato il peso di questo parametro sugli indici di comfort globale e l’importanza che riveste nell’individuare le situazioni nelle quali il disagio è procurato dalla quota di calore irradiata, non è possibile concedersi sconti in tale senso, cosicché per ogni singolo rilievo sarà necessario investire un tempo di 22 – 23 minuti (20 di attesa e gli altri di misura)6. Questo significa che per una campagna di misurazioni, tenuto anche conto dei tempi legati alla logistica della stessa, si devono considerare tempi di esecuzione di circa 2 punti di misura per ogni ora di lavoro. Accelerare questi tempi significa minacciare l’attendibilità dei risultati.
È nostra opinione che si possa recuperare tempo ridimensionando il numero di punti di misura il quale, se si considerano solo aspetti tecnici e si trascurano quelli psicologici, può essere ridotto entro i 20 sostanzialmente per qualsiasi tipo di edificio.
I criteri con i quali determinare il numero minimo delle posizioni di misura si possono individuare nei seguenti:
‒       verificare gli eventuali effetti penalizzanti dovuti all’irraggiamento solare;
‒       evidenziare se sussistono importanti disomogeneità nelle condizioni termoigrometriche nel palazzo;
‒       esaminare se il comfort termico risulta influenzato in modo critico dalle differenti condizioni di affollamento degli ambienti;
Nella figura 1 sono proposte fotografie aeree di diverse tipologie di edificio, con estensioni superficiali che vanno da alcune migliaia di metri quadrati a diverse decine di migliaia. Si vuole far osservare che le posizioni dei punti di misura che consentono di soddisfare i criteri formulati sopra possono essere determinate con quasi esclusivo riferimento alla forma dell’edificio e al suo orientamento, mentre non risulta significativa l’estensione superficiale. Questo significa che il numero di punti non cresce con le dimensioni della pianta del palazzo, ma con la sua complessità geometrica. Pertanto palazzi con grandi estensioni superficiali si possono esaminare con un numero di punti simile a quelli modesti per dimensioni (per motivi analoghi anche il numero di livelli del palazzo incide in modo limitato sul numero totale di punti di campionamento).
Per dare soddisfazione al primo criterio occorre cercare posizioni di misura in cui la quota di irraggiamento sia rilevante, quindi le postazioni di lavoro più vicine alle parti trasparenti delle pareti sottoposte a soleggiamento. A questo fine risultano interessanti punti intermedi di dette pareti e nel caso di ampie vetrature se non di pareti completamente vetrate, i punti d’angolo, nei quali il soleggiamento incide per la maggior parte della giornata (si pensi all’angolo a sud di una facciata orientata ad est o a ovest). Il numero dei rilievi da condurre a questo scopo può essere però molto limitato.
Ad esempio, lungo una facciata di 100 metri di estensione lineare, come quella dell’edificio a pianta quadrata nella prima foto in alto, possono essere sufficienti due punti di misura. Tuttavia lo stesso numero di punti sarà necessario anche per una facciata analoga per forma ma di dimensioni molto minori. L’indipendenza del numero dei punti dalla dimensione dell’edificio gioca quindi a svantaggio di quelli più piccoli.
Nel caso dell’edificio della foto in basso a destra, a causa della non linearità della facciata e della disposizione dei palazzi vicini, è invece probabile che diventi significativo eseguire almeno tre, se non quattro misurazioni lungo la facciata e questo per poter apprezzare le differenze negli ambienti termici che, a parità di utente, si creano a causa delle diversi condizioni di soleggiamento, ad esempio: un punto in posizione intermedia nella porzione est della facciata, che ha esposizione a sud-est; un punto in posizione centrale in corrispondenza dell’angolo, esposto con una vetrata a sud-est e con l’altra a sud-ovest; un punto nella seconda metà della facciata, verso ovest dove, nel pomeriggio, il palazzo ancora più a ovest vi proietta sicuramente l’ombra.
Individuati i punti dove si possono creare le condizioni di maggior svantaggio per effetto dell’irraggiamento solare, riteniamo utile individuarne altri con il ruolo di controllo, ovvero collocati in alcuni (non serve che siano tutti) degli ambienti cui appartengono i primi, ma situati sufficientemente distanti dalla vetrate in modo da risultare riparati dall’azione solare (in prossimità dei corridoi, ad esempio). Il confronto tra il primo e il secondo tipo di rilievo nello stesso ambiente, consente di valutare l’entità della penalizzazione sul microclima riconducibile all’irraggiamento solare.
Anche per verificare eventuali disomogeneità nelle condizioni termiche all’interno dell’edificio non sono richieste mappature capillari. La valutazione di comfort termico non è infatti da confondere con una verifica di buon funzionamento dell’impianto; anzi questo è da dare per scontato e sarà bene che l’ufficio preposto alla manutenzione impianti lo verifichi preliminarmente ad un monitoraggio del microclima. Sono pertanto sufficienti una o due coppie di punti in ambienti analoghi per dimensione e affollamento ma collocati in zone diverse del palazzo. Per questa specifica verifica può essere meglio che i due ambienti si trovino sullo stesso livello fuori terra e dedicare alle variazioni inter-livello un’altra serie di punti allineanti su una verticale (tre ad esempio: piano terra, intermedio e sotto copertura).
Infine, per verificare se sia un fattore penalizzante l’affollamento degli uffici, si procederà ad eseguire delle misurazioni in ambienti con stessa esposizione al sole (meglio ancora se nessuna) e differente densità di occupanti. Questa misura in particolare può essere arricchita di una valutazione sulla concentrazione di anidride carbonica in aria, aspetto che può valer la pena di inquadrare nel contesto più ampio delle verifiche sulla qualità dell’aria indoor.
Con riferimento alle valutazioni di microclima relativa al comfort termico, riteniamo che i rilievi possono essere svolti in modo del tutto efficace con una scelta di pochi punti, mirata a soddisfare i criteri di cui sopra, anziché con un’acritica distribuzione regolare degli stessi nel palazzo. Sulla base della nostra esperienza ogni palazzo può essere esaminato con un numero di punti approssimativamente compreso tra 12 e 20.

3.2 – ORGANIZZAZIONE TEMPORALE DEI RILIEVI

I parametri microclimatici subiscono variazioni nel tempo che possono riguardare sia il breve periodo che il lungo periodo. Nel primo caso ricadono eventuali variazioni veloci che occorrono nell’arco della singola giornata e che definiscono l’eventuale regime non stazionario; nel secondo quelle più lente eventualmente legate a fattori produttivi o a fattori climatici stagionali.
La norma UNI EN ISO 7726:2002 interviene brevemente solo nel merito delle variazioni di breve periodo e, al paragrafo 5.3, specifica che, in condizioni di non stazionarietà, deve essere presa nota delle variazioni delle grandezze fisiche e parametriche in esame: La stessa norma definisce quindi un criterio per determinare se un ambiente termico si può considerare stazionario o meno, ma non indica con quali modalità valutare gli effetti termici in regime non stazionario, rimandando agli specifici standard relativi al comfort ed allo stress termico.
La norma tecnica UNI EN ISO 7730:2006, dedicata alle valutazioni di comfort termico, considera gli ambienti termici in regime non stazionario al titolo 8. Non fornisce tuttavia indicazioni operative su come valutare gli effetti sul comfort termico dei regimi non stazionari, ma fornisce solo dei criteri per valutare in quali casi la temperatura dell’aria si possa considerare in regime stazionario: se la temperatura varia ciclicamente con una differenza picco-picco non superiore a 1 K, oppure se questa subisce una variazione a gradino con un gradiente non superiore a 2 K/h. Si evidenzia inoltre che variazioni a carattere ciclico con una differenza picco-picco superiore a 1 K possono incidere negativamente sul benessere termico.
Sempre la norma 7730 dedica l’appendice H alle valutazioni di lungo periodo. Lo scopo è quello di valutare le condizioni di comfort termico con un orizzonte temporale che si estenda ad un’intera stagione o anno. Sono elencati cinque metodi a questo scopo che non sono però oggetto del presente lavoro. Per completezza si aggiunge che si tratta di valutazioni molto onerose perché richiedono l’uso di sistemi di rilevazione in continuo, distribuiti su più punti di un medesimo edificio.
Il parere degli scriventi è che sia sempre raccomandabile valutare gli indici in due momenti all’interno della medesima giornata di rilievi, eventualmente a scapito del dettaglio spaziale dei campionamenti che, come abbiamo visto sopra, si risolve agevolmente anche con pochi punti di misura. Ottenuti gli indici di comfort globale e discomfort locale in fascia oraria mattutina e pomeridiana, si potrà avere un quadro completo delle condizioni termiche giornaliere, senza cadere nel tranello connesso con eventuali importanti drift di queste nel corso delle ore (a nulla varrà evidentemente il calcolo di un valore medio o altro valore unico).
Ad esempio, nel caso di ambienti temporaneamente soggetti all’irraggiamento solare è frequente riscontrare delle differenze molto significative nelle condizioni termiche e non tenerne conto può voler dire esprimere un risultato di completa idoneità o di totale inidoneità dei requisiti di comfort termico a seconda dell’orario in cui sono avvenute le misurazioni.
Si considerino, a titolo di esempio, i seguenti casi, tratti dalla nostra esperienza. In ognuno, tra il primo e il secondo rilevo trascorre un tempo significativo, che noi cerchiamo di mantenere tra 4 e 6 ore. Come si può notare, l’esito della valutazione risulta ribaltato tra mattino e pomeriggio e, tranne nell’ultimo caso, questo è dovuto alla rilevante variazione della grandezza Tr (temperatura media radiante), quantità dipendente dalla quota di calore trasferita per irraggiamento

Es. 1


Es. 2

Nell’ultimo esempio la significativa e critica variazione nel valore dell’indice di comfort globale PMV è invece dovuta un drift della temperatura dell’aria.
In conclusione riteniamo che una campagna di misure per una valutazione di comfort termico in un edificio debba prestare particolare attenzione alle variazioni delle grandezze fisiche nel tempo e, a questo scopo, il numero dei punti di rilevamento può essere ridotto al minimo sulla base dei criteri esposti più sopra, in modo da consentire che il budget a disposizione permetta di condurre un doppio rilievo in ogni punto di misura, uno di mattina e l’altro di pomeriggio.

4 – CORRELAZIONE CON LE CONDIZIONI METEO ESTERNE

In considerazione della dipendenza degli esiti dei monitoraggi indoor dalle condizioni meteorologiche outdoor, sarebbe raccomandabile eseguire i monitoraggi durante giornate ben rappresentative della stagione di riferimento. La norma tecnica UNI EN 15251:2008, al titolo 9.2.2 (“Thermal environment”) propone che i monitoraggi invernali siano eseguiti durante le giornate la cui temperatura esterna è pari o inferiore a quella media dei tre mesi più freddi e i monitoraggi estivi quando la stessa è pari o superiore a quella media dei tre mesi più caldi. Questo approccio risulta però non attuabile nella pratica perché richiede una continua riprogrammazione delle attività, nonché l’esecuzione di molteplici tentativi per giungere al risultato7.
Riteniamo di poter far fronte alla necessità di tenere in debita considerazione le condizioni meteorologiche correlando ad esse i risultati dei monitoraggi indoor.
A questo scopo si può innanzitutto condurre la misurazione in esterno della temperatura dell’aria8 (°C) e dell’irraggiamento globale9 (W/m2). L’utilità della prima è evidente; la seconda restituisce l’informazione sul soleggiamento e anche senza voler valorizzare il dato numerico, questa misura rende possibile riconoscere se nella giornata dei monitoraggi indoor ci sono stati fenomeni che hanno filtrato i raggi solari riducendo sensibilmente il soleggiamento dell’edificio sotto osservazione.
Si consideri ad esempio i grafici in figura 2, risultato di misurazioni di queste grandezze (unitamente all’umidità relativa dell’aria per quanto non di interesse), compiute nel corso di un monitoraggio del microclima indoor.

Figura 2: Il grafico in alto mostra l’andamento della temperatura e dell’umidità nell’arco di tre giornate del luglio 2012. I due grafici in basso mostrano invece l’andamento dell’irraggiamento globale, ognuno nell’arco di due giornate sempre del luglio 2012. Le rilevazioni sono state compiute tutte sulla copertura dell’edificio sotto osservazione.

Il primo grafico in alto rivela che il primo giorno la temperatura dell’aria esterna compie la maggior escursione, mentre negli altri due minimo e massimo della giornata sono meno distanziati. Soprattutto si nota che nel primo giorno questa supera i 30 °C alle 12:00 e vi rimane sopra sino alla fine della giornata lavorativa (scenderà al di sotto dei 30 °C solo verso le 20:30); inoltre si mantiene tra i 33 °C e i 34 °C per oltre quattro ore. Il secondo giorno la quota dei 30 °C è superata già alle 11:00 ma la temperatura massima è di circa 2 °C inferiore alla giornata precedente. Il terzo giorno la temperatura dell’aria esterna non supera mai i 30 °C.
Sempre nella figura 2, i grafici in basso mostrano l’irraggiamento globale. Il primo a sinistra è relativo a due giornate pienamente soleggiate, mentre quello a destra rivela nel primo giorno un cielo con copertura variabile e comunque mai del tutto libero e così accade anche nel secondo giorno sino alle 11:00, ora a partire dalla quale si ha il pieno soleggiamento.

Figura 3: evoluzione della temperatura dell’aria nella stagione (diagramma della temperatura minima, media e massima). I pallini sull’asse delle ascisse rappresentano le giornate con almeno una precipitazione. Le bande verticali le giornate più impegnative (secondo un criterio arbitrario) e le bande con la data riportata in alto le giornate in cui si sono svolti i rilievi di microclima.

Oltre all’evoluzione dei parametri meteorologici nel corso delle giornate dei monitoraggi indoor, si ritiene interessante rivedere l’evoluzione del meteo outdoor nel corso di tutta la stagione. Questo consente di valorizzare meglio i risultati perché permette di capire se siano rappresentativi di giornate impegnative o miti della stagione di riferimento, recuperando quindi, anche se per un’altra via, la raccomandazione della 15251 circa la necessità di riferire gli esiti dei rilievi indoor al clima outdoor.
A meno che sull’edificio oggetto di osservazione non sia presente una centralina meteo, a questo scopo si potrà fare riferimento ai dati della centralina ARPA più vicina al luogo delle misure, facilmente reperibili su Internet. L’irraggiamento globale non è normalmente previsto, ma può essere utile acquisire la temperatura dell’aria e le precipitazioni. In figura 3 sono presenti dei grafici di esempio, riportanti le variazioni della temperatura nel corso di due estati e le giornate in cui si è verificato almeno un episodio di pioggia. Le bande verticali hanno lo scopo di evidenziare le giornate più impegnative della stagione, cosicché sia immediato sapere se le giornate dei campionamenti indoor (bande in colore diverso con riportata la data in alto) si collocano tra queste o meno.

5 – DISAGIO DA CORRENTI D’ARIA

Il disagio da correnti d’aria è uno dei quattro discomfort locali e si valuta attraverso l’indice denominato DR (Draught Rate o Draft Rate)
Il valore di questo parametro dipende dalla temperatura, dalla velocità e dalla turbolenza dell’aria nel punto in cui si valuta il disagio e aumenta all’aumentare della velocità e della turbolenza e al diminuire della temperatura. Aria a temperatura più bassa, a parità di velocità e turbolenza, procura quindi un disagio maggiore; così come aria con elevata turbolenza, ovvero costituita da flussi caotici, a parità di temperatura e velocità, procura un disagio maggiore di un flusso d’aria uniforme.
Il disagio da correnti d’aria (indice DR) è calcolato tramite la

DR = (34 – ta,l ) (v‾a,l – 0.05)0.62 (0.37×v ̅a,l×Tu+3.14)

dove:

ta,l        è la temperatura dell’aria, in gradi Celsius, compresa tra 20 °C e 26 °C;
v ̅a,l.      è la velocità media locale dell’aria, in metri al secondo,  < 0.5 m/s; Tu        è l’intensità locale di turbolenza, in percentuale, compresa tra il 10% e il 60%.

I limiti per questo indice sono i seguenti:

Categoria
DR (%)
A < 10
B < 20
C < 30

Ai fini della valutazione di questo indice è necessario definire un intervallo di integrazione condiviso entro il quale calcolare la velocità media e la turbolenza. Né la norma tecnica 7730, né la 7726 lo riportano ma la letteratura fa la proposta unanime di consideralo di ampiezza pari a 180 s10. Le misure concernono pertanto velocità e temperatura dell’aria, da acquisire con una frequenza di almeno 2 Hz, meglio se 5 Hz (cfr. UNI EN ISO 7726:2002, tabella 2). Calcolati i valori di velocità media sul tempo di 180 s e la sua deviazione standard, si calcola l’intensità di turbolenza dal rapporto tra il secondo sul primo e infine il valore dell’indice DR (evidentemente non è invece algebricamente corretto calcolare il valor medio di singoli valori dell’indice).
Un altro aspetto della pratica della misurazione di questo indice che deve essere definito è quanto lungo debba essere il tempo di osservazione.

Figura 4: Esempi di valutazioni dell’indice DR, disagio da correnti d’aria.
Nei grafici di sinistra è mostrato il diagramma della velocità istantanea dell’aria, della sua media e della turbolenza, calcolate su una finestra mobile di 180 s e per un tempo di osservazione di 10 min. La linea rettilinea in alto rappresenta il limite di applicabilità della turbolenza (60%).
Nei grafici di destra è invece mostrato il diagramma dell’indice DR calcolato sul medesimo tempo di integrazione e per lo stesso tempo di osservazione. La linea rettilinea in alto ora rappresenta il limite del 20% stabilito per gli ambienti in categoria B.

In figura 4 sono riportati gli esiti di due rilievi della durata di 10 minuti ciascuno in cui i calcoli sono svolti su finestre mobili di 180 s, traslate di 1 s l’una rispetto all’altra; a sinistra si trova il grafico della velocità istantanea (10 campioni al secondo), della velocità media e dell’intensità di turbolenza (per la quale è segnata con una retta il limite di applicabilità del 60%). A destra è presentato l’evoluzione dell’indice DR nei 10 minuti di osservazione. L’esempio in alto mostra valori di velocità media, turbolenza e DR quasi costanti, mentre nell’esempio sotto si nota una dinamicità di questi dati che porta l’indice DR a variare dai valori iniziali di 3-5% a valori che, verso la fine del rilievo, toccano il 10%.

Figura 5: Valutazione dell’indice DR su un tempo di osservazione di quasi 3 h, calcolato su una finestra mobile di 180 s e con un rate di acquisizione di 4 Hz.

Come si nota la dinamica dei valori di questo indice potrebbe essere tale che una misura di alcuni minuti potrebbe non coglierla come si nota meglio dall’esempio in figura 5 che rappresenta l’esito di un rilievo della durata di circa 3 ore. La ripetizione di questo rilievo in due momenti della giornata può contribuire ad abbassare la probabilità di restituire una valutazione parziale del disagio da correnti d’aria, ma va segnalato che ogni valutazione dovrebbe comprendere, a nostro avviso, un tempo di osservazione di almeno 5 – 10 minuti.

6 – ISOLAMENTO TERMICO DELL’ABBIGLIAMENTO

L’isolamento termico del vestiario, insieme al metabolismo, è una delle due grandezze che, fra le sei che occorrono per definire l’ambiente termico, si riferiscono all’individuo e non all’ambiente. Il suo valore è determinato per via documentale, senza compiere misurazioni e a questo scopo si fa riferimento alla norma UNI EN ISO 9920:2009.
Per determinare l’isolamento termico complessivo dell’abbigliamento di un individuo o di un gruppo di soggetti, la norma indica due strade:
1. partire dai singoli capi di abbigliamento (app. B, tabelle B.1 e B.2) e combinarne gli isolamenti per ricavare quello totale;
2. partire da tipiche combinazioni di campi di abbigliamento (app. A, tabelle A.1 – A.10) e correggerle aggiungendo indumenti o eliminandone.
La norma indica due semplici relazioni algebriche, una per ognuno dei due scopi: formula (11), formula (13).
Generalmente è comunemente accettato che per l’estate possa essere assunto il valore standard di 0.5 clo e di inverno quello di 1.0 clo, tenuto anche conto che la stessa norma 7730 ricorda che, nel definire i criteri di progettazione dei diversi tipi di ambienti, sono appunto questi i valori di isolamento termico dell’abbigliamento ipotizzati.
Pertanto, se la valutazione è indirizzata a determinare la prestazione del sistema edificio-impianto nel suo complesso e si riferisce pertanto ad un utente medio, si assumono i due valori di cui sopra a seconda della stagione.
Riteniamo però che questo approccio sia impiegato troppo acriticamente e sia spesso trascurato di considerare i casi in cui l’isolamento termico dell’abbigliamento reale si discosta da questi valori standardizzati. È il caso di quei soggetti il cui abbigliamento è imposto da ragioni aziendali, ovvero tutti coloro che devono indossare una divisa (receptionist, guardie, commessi/e, …), uno specifico abbigliamento da lavoro (personale sanitario, …) e anche quegli impiegati ai quali è richiesto un abbigliamento formale (vestito e cravatta per gli uomini, tailleur per le donne, ad esempio). Per costoro l’isolamento termico dell’abbigliamento deve essere determinato in modo specifico.
In sintesi, ai fini della valutazione del comfort termico, saranno generalmente considerati le seguenti tipologie di abbigliamento:
‒       abbigliamento medio standard nel periodo estivo: 0.50 clo;
‒       abbigliamento medio standard nel periodo invernale: 1.00 clo;
‒       abbigliamenti specifici: isolamento calcolato.
Per rendere ben fruibili i risultati di una tale valutazione proponiamo di calcolare i valori degli indici globali per un intervallo di possibili valori di isolamento termico del vestiario, restituendo di conseguenza, per il PMV e il PPD, non un unico valore ma un valore minimo e un valore massimo, entro i quali è atteso che siano compresi i valori di detti indici per tutti i soggetti diversamente vestiti che, a parità di metabolismo, si trovano nel medesimo ambiente. Due esempi di restituzione sono proposti in figura 6.

Figura 6: esempi di restituzione dei risultati di un monitoraggio (stralcio da un rapporto di prova)

Si sottolinea infine l’importanza di procedere alla correzione dinamica dei valori di base dell’isolamento termico (cfr. UNI EN ISO 7730:2006, App. C.2).

7 – ANALISI DEI RISULTATI

In questa sezione riportiamo esempi di considerazioni che si possono compiere sulla globalità dei risultati ottenuti da un monitoraggio del microclima negli ambienti non vincolati, commentando gli indici e i singoli parametri oggetto di misurazione.
Se è stata fatta una valutazione dell’evoluzione meteorologica stagionale, sarà innanzitutto possibile commentare se le giornate dei campionamenti si collocano in momenti rappresentativi di condizioni impegnative, medie o miti della stagione di riferimento. Non abbiamo elaborato un criterio analitico, ma riteniamo adeguate le seguenti considerazioni: se i giorni di monitoraggio si collocano nella parte centrale o conclusiva di un periodo piuttosto prolungato di caldo, si possono senz’altro considerare rappresentative delle condizioni più difficili da contrastare da parte del sistema edificio-impianto ai fini del mantenimento del miglior comfort termico indoor; differentemente, un monitoraggio condotto fuori da questi periodi e, ancor di più, prima che si verifichino le ondate di calore più intense, non potrà riferire della prestazione del sistema durante le giornate più impegnative11. Con riferimento al grafico in basso in figura 3, che riprendiamo in figura 7, si può osservare che le due giornate di campionamento si inseriscono in un momento relativamente impegnativo di una stagione (estate 2011) complessivamente piuttosto mite sino alla seconda metà di agosto (vedi parte tratteggiata in figura 7), quando si è verificata una prolungata e intensa ondata di calore. Un monitoraggio in questo ultimo periodo avrebbe potuto restituire informazioni sulla capacità di reazione del sistema edificio-impianto alle condizioni meteorologiche più impegnative, ma è anche vero che avrebbe avuto valore del tutto parziale trattandosi di un periodo limite nell’arco dell’intera stagione.

Figura 7

In merito agli indici di comfort globale, PMV e PPD, ed alla temperatura operativa (TO), si individueranno tutti quei punti in cui si superano i limiti (determinati sulla base della categoria attribuita al singolo ambiente termico) con particolare riferimento ai casi in cui c’è il salto di più di una categoria, ad esempio trovando valori di PMV compresi tra +0.7 e +1.0 in punti in cui risulta applicabile il limite di +0.5.
Inoltre, se si è condotto il doppio monitoraggio si individueranno tutti quei punti in cui le condizioni termoigrometriche cambiano criticamente tra mattina e pomeriggio. Condizione certamente indicativa di un drift critico è il salto di due categorie, mentre il salto di una sola non è detto che lo sia. Con riferimento alla TO, si può ritenere da segnalare se il differenziale assoluto tra mattina e pomeriggio è superiore a 1 °C.
Per quantificare invece se vi sia una criticità legata all’eccessivo soleggiamento e in generale ad una prevalenza di calore trasferito per irraggiamento rispetto a quello trasferito per convezione, risulta utile determinare in ogni punto di misura la differenza tra temperatura media radiante e temperatura dell’aria (Tr-Ta). Sulla base della nostra esperienza è da considerarsi critica se questa differenza supera il valore di 1.2 °C.
In merito all’umidità relativa, si deve considerare che nella stagione calda la si trova normalmente all’interno dell’intervallo ottimale 40% ¸ 60%, ma di inverno non è infrequente riscontrare valori tra il 20% e il 30%. Questi ultimi sono da segnalare perché possono facilmente provocare disidratazione cutanea e delle mucose di occhi, naso e cavità orale, diminuzione delle difese da batteri e germi, senso di secchezza, irritazioni, congiuntiviti, eczemi e aumentare sensibilmente il rischio di raffreddamenti.
In merito agli indici di discomfort locale saranno evidentemente segnalati i superamenti dei limiti.
Infine, per la temperatura operativa TO e la velocità dell’aria va, si potrà compiere un confronto anche con i criteri di progetto (cfr. UNI EN ISO 7730:2006, appendice A).

Ad esempio, per uffici in categoria B, la norma indica i seguenti intervalli ottimali per la temperatura operativa:

  • estate: 23 – 26 °C;
  • inverno: 20 – 24 °C.

Per la velocità dell’aria consiglia invece che non siano superati i seguenti valori massimi (sempre per uffici in categoria B) 12:

  • estate: 0.19 m/s;
  • inverno: 0.16m/s.

Si fa osservare che nella ricerca di soluzioni di riduzione è possibile ricalcolare gli indici di riferimento facendo ragionevoli ipotesi sulle correzioni che potrebbero essere apportate a parametri come la temperatura e la velocità dell’aria e la temperatura media radiante.
Se il disagio è dovuto a temperature dell’aria troppo elevate o troppo basse si ricalcoleranno gli indici PMV e PPD assumendo nuovi, ragionevoli, valori per la temperatura dell’aria. Se invece è il contributo radiante a incidere in modo rilevante sul discomfort, sarà più ragionevole rivalutare gli indici di comfort sotto l’ipotesi che siano eliminati i più alti apporti di calore dovuti all’irraggiamento; a questo scopo, in prima approssimazione, si può ricalcolare l’indice PMV postulando la temperatura media radiante pari a quella dell’aria.

8 – BIBLIOGRAFIA

UNI EN ISO 7726:2002 “Ergonomia degli ambienti termici: Strumenti per la misurazione delle grandezze fisiche”.

R. d’Ambrosio Alfano, F. Liotti (2004) “La qualità degli ambienti confinati non industriali: il discomfort termoigrometrico”, G ItalMedLav erg 2004; 26:4, 401-415 (www.gimle.fsm.it)

UNI EN ISO 7730:2006 ”Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione analitica e interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei criteri di benessere termico locale”.

Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province Autonome, in collaborazione con ISPESL (2006) “Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro. Requisiti e standard. Indicazioni operative e progettuali. Linee guida.”

Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni (c.d. Testo Unico sulla Sicurezza) Attuazione dell’articolo 1 della Legge 3 agosto 2007, n. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008 – Suppl. Ordinario n. 108

UNI EN 15251:2008 Criteri per la progettazione dell’ambiente interno e per la valutazione della prestazione energetica degli edifici, in relazione alla qualità dell’aria interna, all’ambiente termico, all’illuminazione e all’acustica

UNI EN ISO 9920:2009 Ergonomia dell’ambiente termico – Valutazione dell’isolamento termico e della resistenza evaporativa dell’abbigliamento.

del Gaudio M., Freda D., Lenzuni P. (2009) La classificazione degli ambienti termici, Giornale degli igienisti industriali 34 (2), 186-197, 2009

del Gaudio M., Freda D., Lenzuni P. (2010) Proposta di classificazione degli ambienti termici moderati, Atti del Convegno dBA 2010 “Rischi fisici: valutazione, prevenzione e bonifica negli ambienti di lavoro. A che punto siamo” (Modena, 6-7 ottobre 2010); 315 – 326.

M. Bluyssen (2013) The Healthy Indoor Environment: How to assess occupants’ wellbeing in buildings, Routledge

Lenzuni, D. Freda, P. Capone (2014) A ciascuno il suo: le diverse vie della valutazione del comfort e dello stress microclimatico, Atti del convegno dBA 2014 “Agenti Fisici nei luoghi di lavoro: aggiornamenti, approfondimenti, esperienze” (Modena, 17 settembre 2014); 269 – 282.

1 Per una discussione sul tema si può vedere P. Lenzuni, D. Freda, P. Capone (2014) A ciascuno il suo: le diverse vie della valutazione del comfort e dello stress microclimatico.
2 Si osservi che il legislatore, all’allegato XXXIV, concernente i requisiti dei posti di lavoro al videoterminale, al punto 2 (Ambiente), lettera e) (parametri microclimatici) precisa: “Le condizioni microclimatiche non devono essere causa di discomfort per i lavoratori”.

3 Ambienti termici vincolati: classe di ambienti termici nei quali esistono specifiche esigenze produttive o fattori ambientali che, vincolando uno o più dei parametri microclimatici (temperatura, umidità, calore radiante, abbigliamento) possono impedire che l’obiettivo del comfort termico sia perseguibile.
4 Si consideri che una corretta definizione di ambiente termico è la seguente: complesso dei parametri che influenzano gli scambi termici tra il soggetto e l’ambiente, dando luogo alle sensazioni termiche.
Fanno quindi parte di questi parametri sia le grandezze fisiche ambientali che le grandezze legate all’isolamento termico del soggetto ed alla sua attività fisica.
5 del Gaudio M., Freda D., Lenzuni P. (2009) La classificazione degli ambienti termici.
Si veda anche: del Gaudio M., Freda D., Lenzuni P. (2010) Proposta di classificazione degli ambienti termici moderati.
6 Considerata questa grande inerzia termica del globotermometro, le misurazioni sono da condurre in condizioni stazionarie o quasi-stazionarie, procedendo, eventualmente, a più misurazioni in momenti diversi per cogliere le variazioni nelle condizioni termiche. Pertanto la singola misura, atteso l’adattamento delle sonde, può durare anche pochissimi minuti.
7 Aggiungiamo che, per lo meno in Italia, i problemi legati al microclima durante l’inverno sono il più delle volte dovuti all’eccessivo caldo all’interno degli edifici più che al freddo.
8 Non riteniamo interessante l’umidità esterna perché non ha alcuna correlazione con il microclima interno, trattandosi di una proprietà fisica che gli impianti di trattamento aria riescono facilmente a modificare.
9 L’irraggiamento globale si misura con il piranometro.
10 Si veda ad esempio P. M. Bluyssen (2013) The Healthy Indoor Environment: How to assess occupants’ wellbeing in buildings
11 Facciamo riferimento solo alla stagione calda perché la correlazione con il meteo esterno invernale, pur utile, è di contenuto informativo molto più povero, anche in virtù del fatto che i maggiori disagi microclimatici indoor sono connessi con le temperature troppo alte, come già detto.
12 È bene sottolineare che i limiti proposti dalla norma per la va sono intesi per la condizione di progetto, ovvero dove anche gli altri parametri sono compresi negli intervalli ideali.

————————

Creative Commons
Attenzione: questo articolo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.
Ovvero sei libera/o di condividere o modificare questo materiale con qualsiasi mezzo e formato e con qualsiasi fine, anche commerciale, alla condizione di riconoscere una menzione di paternità adeguata. Ad esempio con un link alla versione originale e/o citando il sito da cui è tratta e l’URL completo della pagina.

————————

scarica l’articolo integrale in formato pdf:

G. Gambino, A. Merlino, G. Quadrio (2015) Aspetti operativi della misurazione del microclima: dove, quando e quanto monitorare. Interpretazione e valorizzazione dei singoli parametri, relazione a invito, atti del convegno dBA 2015 (Modena, 27 maggio 2015); 71 – 90

Contattaci

    Policy sulla privacy